Aniko, di Anna Nerkagi

“Ogni periferia è il centro di una storia. E, per chi ne è protagonista, non ci sono allontanamenti o fughe che possano sottrarre quella periferia dal punto più profondo dell’anima, dove gli opposti convergono e la vita si fa canto, oltre ogni dubbio, oltre ogni dolore. La storia di Aniko è, perciò, un ritorno a casa. Al luogo che abita dentro di noi, anche quando smettiamo di abitarlo.”

Una storia di ispirazione autobiografica pubblicata per la prima volta nel 1974, che ha raggiunto l’Italia grazie a Utopia Editore e alla traduzione di Nadia Cicognini.  Racconta il ritorno alle origini, lo spazio interiore che abita la nostra vita nonostante i nuovi approdi. Siamo tutti nomadi di terra, ma le radici attecchiscono nell’anima, in quel luogo di genesi che rappresenta il bagaglio di costume e familiare. Aniko  è il primo romanzo di Anna Nerkagi, ambientato nella penisola di Jamal, in Siberia, tra la popolazione nomade dei nenec.  L’etimologia del nome Jamal va ricercata nella lingua nenec e deriva da ja, terra e mal, fine (fine del mondo), mentre il termine nenec significa essere umano. La protagonista, ancora bambina, lascia la sua comunità indigena per stabilirsi in città e ricevere l’istruzione garantita dai russi ad alcuni giovani nenec.  Dopo la morte della madre viene richiamata dal padre nella tundra, a vent’anni, quando è diventata una studiosa di geologia, raffinata e immersa nel bel mondo culturale. Riscopre una realtà semplice in cui una renna può essere allattata da una donna, i cani soffrono come gli uomini,  la natura decide i destini e gli spiriti dei defunti proteggono gli uomini.  Aniko si trova al confine tra il mondo della sua infanzia e un universo di cui non conosce neanche più la lingua, alieno, desolato e traboccante di stenti. Non sa se partire o rimanere per non lasciare il padre Sebereuj solo.

“Così quel vecchietto bizzarro, che per lei era un completo sconosciuto, era suo padre… La persona che avrebbe dovuto risvegliare in lei le tracce residue di un affetto che un tempo era ben vivo  e far sì che ricominciasse ad amarlo e a considerarlo l’essere più caro al mondo… Era confusa.”

“Come poteva dimenticare le strade affollate e animate della città e i suoi luoghi favoriti, dov’era così piacevole fermarsi a riflettere e fantasticare, per consegnarsi volontariamente a quel gelido silenzio e smarrirsi in  quelle infinite distese di neve, indossare una jaguška e vivere alla luce di una lampada a cherosene fino alla vecchiaia?”

Un romanzo che narra la vita di una comunità ma che si rende testimonianza dei rapporti fra natura, civilizzazione e folclore, che approdano allo scontro fra la modernità e il mantenimento degli usi di un popolo in cui si assottigliano finanche le differenze tra il mondo interiore umano e animale.

“Aniko se ne stava lì, senza riuscire a credere ai suoi occhi e al suo cuore. Una renna davanti alla bara della mamma (…) Somigliava alla renna orgogliosa che aveva visto il giorno prima. Ma sì, era proprio lei. Temujko non le prestava attenzione. Fissava coi suoi grandi occhi malinconici il sarcofago e le macchie di neve scongelata ed era come assorto in tristi meditazioni non da renna.”

Aniko cerca l’equilibrio tra la necessità di somigliare ancora alla sua comunità e il disagio di dover restare nonostante quella che è, diversa. Il quesito se restare per sempre o andare, nella storia resta aperto. Anna Nerkagi lascia che sia il lettore a trarre le sue conclusioni, sebbene l’autrice dopo il suo esordio letterario sia tornata a vivere nella sua terra d’origine, dove ha istituito una scuola in cui si dedica all’istruzione dei giovani nenec oltre alla salvaguardia e alla valorizzazione del patrimonio culturale delle minoranze in Russia.