Cosa ne pensate dei diari? Ne leggereste o scrivereste uno in questo momento? I diari ospitano pagine di narrativa che spesso si avvicinano di più a un flusso di coscienza che a una trama ben congegnata. Ma la cosa sorprendente è che, seppur guidati da flussi non intenzionali, giorno dopo giorno costruiscono inevitabilmente la trama di una storia: la nostra e quella delle persone e delle cose che ci circondano in un dato momento.
Hanno questo potere magico i diari, il potere di dirigere la penna sulla pagina vuota e di fotografare momenti (a volte anche insignificanti) che non cadono così nell’oblio.
Il libro che vi presento oggi è un diario, ma non certo un diario qualunque, si tratta di un diario contemporaneo e tendenzialmente metropolitano. Contemporaneo nel linguaggio e negli eventi che racconta. Metropolitano perché ambientato a Roma.
”Come un pappagallo verde su un ramo grigio d’inverno” è il libro con cui Alessandra De Blasio racconta, con uno sguardo tutt’altro che convenzionale, gli accadimenti dell’anno duemiladiciannove. In ogni capitolo restituisce immagini, trasmette suggestioni e racconta fatti di cronaca che dalle pagine dei giornali si trasformano nello sfondo sbiadito delle sue giornate (come autobus che prendono fuoco e incidenti nelle scale mobili).
Alessandra racconta la quotidianità di una donna qualunque, ma con uno sguardo che rende tutto non scontato e sorprendente. Passa dalla descrizione di quadretti cittadini suggestivi a incontri con amiche speciali che, per fortuna, capiscono il suo lato contemplativo (cosiddetto “modalità Proust”). Quello che è veramente incredibile in questo libro è vedere come gli impedimenti snervanti di una città difficile, come è appunto Roma, passino in secondo piano per chi sa navigarci dentro, contemplando e osservando ogni cosa e restituendo umanità a una routine che spesso quella stessa umanità schiaccia.
“Mi ero ritrovata con questa testa estranea nella testa che, per una che i capelli li ha sempre avuti lisci e desiderati ricci, è pure una cosa strana da spiegare. Ma insomma, forse era un po’ tutto quello che avevo intorno che mi era diventato estraneo. Non solo la testa. Erano giorni in cui sembrava che avessi perso la fantasia, come se quella fosse annegata in un improvviso temporale. Scorrendo nei tombini per la strada, avevo avuto la sensazione piuttosto marcata che si fosse congedata dalla mia vita.”
“…mi veniva in mente che Proust fosse proprio uno stato mentale, uno di quelli che ti sublima la realtà, ti sospende il tempo, ti espande lo spazio. Un teletrasporto che mi catapultava dal divano direttamente su stradine brecciate, con il sole di fronte a rispuntare da dietro le nuvole estive dopo che la pioggia ha bagnato la campagna circostante che profuma di terra e di fiori e il campanile della chiesa di un ignoto paesino circostante, svetta nel cielo, rimarcando il roseo di un tramonto. Me ne andavo ragionando che sì, Proust poteva ben dirsi una modalità del cervello. Una cosa del tipo “Oggi sono in modalità Proust”.”
“Le metro perfette mi lasciavano spazio a buoni sentimenti, alla calma del vivere lento, all’andare piano. Del tempo giusto a scorrere nel modo giusto. Pensavo: “Al diavolo il cellulare!” con la sua batteria scarica, con i suoi luoghi oscuri dove mi risucchiava facendomi sentire peggiore. I mondi virtuali della gente virtuale che in quel mondo parallelo scorreva sempre sotto la spinta di un dito…”
“Erano giorni contemporanei di campagne elettorali contemporanee. Di botte e di botte e risposte. Di striscioni esposti ai balconi, di parole e molto più di cattive parole. Erano giorni di migranti e barconi, di cuori e porti chiusi. Giorni dunque di poca, anzi pochissima speranza… Erano giorni di contraddizioni in termini e di termini contraddittori, di inesperienza vincente ad abbattere esperienza decadente e decaduta da un pezzo. Della solita apparenza a ingannare la morta e sepolta sostanza. Si mangiava sushi, si spizzicavano stuzzichini stuzzicanti seduti ad aperitivi ed apericene dal sapore fortemente contemporaneo.”
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